In questi giorni sto cercando di ascoltare. Ascolto il più possibile le persone che sono in contatto con me sui social, ascolto gli amici per telefono, i miei familiari, ascolto le persone intervistate in televisione e mi rendo conto che i sentimenti prevalenti sono ansia nei confronti del futuro, preoccupazione per la situazione economica, tristezza e anche dolore. Parlo, infatti, con molti amici medici che mi portano il loro dolore nel non poter fare di più di quello che già, egregiamente e coraggiosamente, fanno.
Ma l’emozione che percepisco di più nelle persone è la paura.
Durante i miei Corsi ed Eventi spesso parlo dei meccanismi della paura perché secondo me è importante conoscere come funzionano per riuscire a razionalizzare questa emozione. Se lasciamo che la nostra paura sfugga a un controllo razionale, corriamo il rischio che “arrivi alla pancia” e si trasformi in paura irrazionale, facendoci perdere lucidità, equilibrio e senso di responsabilità. È così che possono nascere delle vere e proprie psicosi collettive.
Questa che stiamo vivendo è una situazione nuova per la maggior parte di noi. Solo qualche persona anziana che ha vissuto in tempo di guerra si ricorda delle strade vuote per il coprifuoco, della paura dei bombardamenti, dell’impossibilità di abbracciare i propri cari…i motivi sono differenti, ma i sentimenti sono simili.
Per tutti gli altri è un’esperienza nuova, ma non del tutto.
Chi non ricorda di aver studiato a scuola la peste nera raccontata dal Boccaccio o quella descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi? E chi, in tempi più recenti, non si ricorda della Spagnola o di Ebola? E quanti film abbiamo visto sulle pandemie?
Certo, erano tutte cose lontane da noi, ma tutte, in qualche modo, seppur inconsapevolmente, hanno depositato un piccolo seme di paura nel nostro inconscio. Insomma, la paura del contagio è antica.
Il nostro cervello, attraverso l’amigdala, attiva la dimensione della paura per metterci in guardia perché il suo fine ultimo è la nostra sopravvivenza, quindi la paura ha lo scopo di salvarci la vita.
Tuttavia le neuroscienze hanno scoperto che questa piccolissima ghiandola non solo è in grado di attivarci in caso di pericolo, ma è anche in grado di “disattivarci” nel caso in cui venissimo in contatto con stimoli simili a quelli pericolosi ma non potenzialmente tali. Questo aspetto è quello che ci consente di distinguere tra stimoli pericolosi e stimoli che hanno delle similitudini con i primi ma sono, invece, innocui.
È chiaro che in questo caso il pericolo è reale ma quello che vorrei mettere in evidenza è che se ci focalizziamo solo sugli aspetti che attivano la paura, ci troveremo a vivere in apnea, coglieremo solo i segnali di allarme e gli aspetti negativi, comunicheremo trasmettendo agli altri solo questa emozione, metteremo in atto comportamenti dettati dall’angoscia che potrebbero portarci a compiere azioni irresponsabili o antisociali (abbiamo assistito tutti a scene di affollamento sui treni o a episodi di saccheggio dei supermercati).
Abbiamo visto che è normale avere paura, è una naturale risposta fisiologica ma possiamo anche scegliere di “disinnescare” il circolo vizioso della paura.
Rispettiamo le regole, armiamoci di pazienza, ma iniziamo a focalizzarci anche su altro, in primis sui progressi, sulle piccole vittorie, sui primi esiti positivi delle misure adottate e anche sulle possibilità che questa condizione ci offre.
Sento tante persone che stanno diventando insofferenti all’isolamento, alla mancanza di contatti e alla monotonia di giornate sempre uguali. Lo capisco: la “varietà” è considerata uno dei bisogni primari dell’uomo, forse però eravamo abituati a una sovraesposizione agli stimoli.
Sempre iper-connessi, sempre super-impegnati, senza nemmeno il tempo per una telefonata di piacere, a volte nemmeno per dedicarsi a se stessi, sommersi dal rumore…lo sentite il silenzio? Ci eravamo assuefatti all’inquinamento acustico, le telefonate, le riunioni, la radio della macchina e fuori il traffico e poi a casa la famiglia, i figli, la tv sempre di sottofondo. Ora se spegni la tv, per non ascoltare 24 ore su 24 le ultime notizie ( cosa che suggerisco di evitare), senti il silenzio e, se sei fortunato, gli uccellini che iniziano a cinguettare con l’arrivo della primavera.
Perché questo silenzio ci angoscia tanto? Perché abbiamo questo senso di vuoto?
Non siamo più abituati a stare con noi stessi, a entrare in contatto con le nostre emozioni più profonde, anche con la paura: ecco perché la paura ci fa paura!
Ci sono tanti consigli su come riempire il tempo: leggere, imparare cose nuove, svuotare il garage, pulire gli armadi, ma se ogni tanto facessimo anche nulla? Se rimanessimo in silenzio, se ascoltassimo il nostro respiro e lasciassimo correre liberi alcune nostre intuizioni? Potremmo scoprire luoghi inesplorati e nuovi significati, dentro di noi.
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Con affetto,
Giovanni Porreca
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